La Regione Lazio respinge la domanda di legittimazione dell’occupazione abusiva di un ampio terreno da parte di una società, che lo aveva acquistato prima di una sentenza commissariale che ne ha dichiarato la demanialità civica. La Regione arrivava a queste conclusioni con un procedimento invero tortuoso: poiché il piano regolatore generale approvato dal Comune di Civitavecchia nel lontano 1967 prevedeva per l’area la realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica, questa doveva ritenersi prevalente rispetto all’interesse privato della società alla legittimazione, che pertanto doveva essere negata. La società ricorre, affermando tra l’altro che il piano regolatore generale, per il quale mancano ancora ad oggi i piani attuativi, doveva ritenersi nullo, non potendo assegnare a terreni di uso civico una destinazione diversa.
Assunto corretto, quest’ultimo, posto che, dichiarata l’esistenza di usi civici su un determinato territorio, è assegnato questo alla categoria A ( bosco e pascolo) questi passano alla gestione del Comune, ma affinché i cittadini continuino a esercitarvi gli usi civici come riconosciuti. Resta quindi impossibile per il Comune disporre del terreno in modo diverso, sia pure per altre finalità sociali di sua sicura spettanza.
Il Tar Lazio respinge il ricorso, per quanto riguarda questo motivo, su un argomento che non può essere condiviso: la posteriorità della sentenza dichiarativa degli usi civici sul piano regolatore generale. La sentenza commissariale che riconosce la demanialità civica sul terreno in questione è del 1990: tanto basta al Tar Lazio per parlare di un vincolo che sarebbe sorto successivamente sul terreno e che, come tale, non potrebbe inficiare la validità dello strumento urbanistico.
La sentenza commissariale che accerta l’esistenza di usi civici su un determinato territorio, essendo meramente dichiarativa, non esprime effetti solo dal momento della sua pubblicazione, ma dal momento in cui i diritti civici sono venuti a esistere. Il fatto che assai spesso questo sia indeterminabile non modifica sostanzialmente il quadro ricostruttivo della fattispecie: gli usi civici non sono in sé un vincolo, ma il presupposto di un vincolo, che si impone anche agli strumenti urbanistici adottati ma non ancora attuati.
E’ questa la situazione descritta dalla sentenza. Ammesso e non concesso che il piano regolatore generale possa dirsi valido perché ha provato prima della “scoperta” degli usi civici, gli strumenti attuativi, mai finora adottati, non potrebbero esserlo conformemente al piano perché contrasterebbero nettamente con il disposto dell’art. 142 h) del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, che tutela i terreni di uso civico per la loro destinazione propria, non per una loro generica titolarità pubblica.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sentenza 15 settembre 2015, n. 11247