La corte di cassazione fa applicazione del suo tradizionale orientamento per meglio precisare i confini del giudicato sostanziale della sentenza del commissario liquidatore.
Il fatto: un privato risulta soccombente in un giudizio commissariale, ultimato con una sentenza della cassazione nel lontano 1957; a seguito di questa pronuncia, il comune viene immesso nel possesso del fondo gravato dai diritti di promiscuo godimento, individuato secondo talune particelle catastali.
Molti anni dopo, gli aventi causa citano il Comune in giudizio perché, a loro dire, esso si sarebbe impossessato di una superficie maggiore rispetto a quella oggetto di quel giudizio.
Il Comune si difese con l’eccezione di giudicato, che venne accolta tanto dal Tribunale adito in primo grado, quanto dalla Corte d’Appello.
L’attore ricorre in Cassazione, adducendo come motivo di ricorso quello per cui mentre la decisione del Commissario per la liquidazione degli usi civici che aveva originato il primo processo verteva in materia possessoria (essendo stato a lui chiesto da parte del Comune la reintegra nel possesso dei terreni che, occupati da privati all’epoca, erano risultati di demanio civico a una successiva verifica), la domanda che aveva iniziato l’attuale procedimento era di natura petitoria.
La Corte rileva come la sentenza della Corte d’Appello impugnata col ricorso aveva innanzitutto determinato che la lontana sentenza commissariale aveva accertato che anche i fondi che venivano rivendicati nel presente giudizio come di piena proprietà degli attori dovevano ritenersi in realtà compresi nel demanio civico gestito dal Comune, sulla base di una serie di rilievi e argomenti non più discutibili.
Essi quindi sono coperti dal giudicato fra le parti, visto che comunque la sentenza commissariale ha sempre un oggetto suo proprio, l’accertamento dell’esistenza della natura dei diritti di civico godimento su un determinato terreno, che è naturalmente prodromico a qualsiasi altra statuizione, di natura possessoria come petitoria.
Cass. civ. Sez. II, Sentenza 15 giugno 2015, n. 12390