Alla fine di giugno la Corte di Cassazione ha emanato nello stesso giorno sedici sentenze di eguale contenuto, relativamente a altrettanti giudizi tributari aventi ad oggetto l’accertamento di maggior valore a fini INVIM di terreni alienati da un’università agraria laziale, quella di Sipicciano, ai sensi dell’art. 8 della L.R. n. 1 del 3 gennaio 1986.
L’art. 8 della legge regionale del Lazio prevedeva la possibilità per chi avesse edificato su terreni di uso civico, tanto nella proprietà dei comuni quanto di università agrarie, di chiedere l’acquisto del terreno occupato, ove l’edificio fosse conforme alle norme urbanistiche o fosse condonabile ai sensi della L. 47/1985. La richiesta avrebbe dovuto essere fatta nei novanta giorni successivi all’entrata in vigore della legge regionale.
L’Agenzia delle Entrate contestò all’Università agraria di Sipicciano il valore dichiarato per la vendita di sedici terreni, abbassando quello iniziale e alzando quello finale, ai fini dell’applicazione dell’INVIM. L’Università agraria resistette, affermando tra l’altro che il valore iniziale del fondo dovesse essere computato solo dall’autorizzazione alla vendita da parte della Regione, intervenuta solo nel 1997. Prima di questa, il bene civico era assolutamente incommerciabile, e quindi privo di un valore di mercato. Intervenuta l’autorizzazione dopo l’abrogazione dell’INVIM, la vendita del bene ne sarebbe stata poi del tutto esente.
La Cassazione si pronunciò con la sentenza della Sez. V, 30-07-2008, n. 20700, che rinviava alla CTR Lazio in applicazione di questo principio di diritto: “In caso di alienazione di terreni civici ai sensi della L.R. Lazio n. 1 del 1986, art. 8, quale valore finale dell’immobile ai fini dell’applicazione dell’INVIM deve assumersi il valore venale in comune commercio del bene, anche se diverso dal prezzo di alienazione”. La Cassazione arrivava a questo risultato affermando che la L.R. 1/86 disponeva in linea generale la vendita del bene all’incanto, quindi a un prezzo di mercato che solo eccezionalmente poteva essere abbassato, nei soli casi previsti dall’art. 8 e per le ipotesi prevista dal comma 13 dello stesso. Sotto altro profilo, il fatto che il terreno civico fosse incommerciabile prima dell’autorizzazione della Regione, non comportava che lo stesso fosse privo di un valore determinabile.
Il giudice del rinvio, in applicazione di tale principio di diritto, decise che per determinare il valore finale si sarebbe dovuto tener conto non della stima dell’Ufficio Tecnico Erariale (UTE) su cui si basava l’accertamento, ma su quella del perito incaricato a suo tempo dall’università agraria ai sensi dello stesa art. 8 L.R. 1/86, con l’effetto di far coincidere il valore ultimo col prezzo di vendita, di cui si dichiarava pertanto la congruità. Con le sentenze del 27 giugno 2014 – di cui si riporta solo la prima, Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-06-2014, n. 14715– la Suprema Corte dichiara la legittimità di questa valutazione: posto che spetta solo al giudice di merito l’acquisizione e la valutazione della prova del valore finale, questi è insindacabile allorquando predilige la perizia del tecnico incaricato, che valuta il bene anche nella sua specificità di terreno appartenente al demanio civico, a quella dell’UTE che prescinde completamente da simili considerazioni.