Con questa sentenza la Cassazione riconferma il suo tradizionale orientamento circa l’obbligatorietà di una specifica indagine volta a accertare la natura demaniale dei terreni oggetto di causa.
Nel caso di specie il Commissario agli Usi civici per il Lazio, l’Umbria e la Toscana aveva accertato la demanialità civica di un terreno, posto in Comune di Gaeta, sul fatto che lo stesso doveva ritenersi compreso in un atto di accertamento demaniale – un piano di sistemazione e legittimazione di occupazioni arbitrarie- che si assumeva (senza prova in concreto) notificato nel lontano 1941 ai danti causa dei reclamanti come agli altri occupatori dell’epoca. Di questo piano non si è poi trovata alcuna traccia, e le sue risultanze non furono conseguentemente acquisite al processo.
La sentenza commissariale si basava quindi su una serie di presunzioni, invero autorizzate dallo stato della normativa: che il piano di sistemazione comprendesse il fondo dei reclamanti perché compreso nella zona considerata e che questo fosse stato notificato, cosa che, in materia di usi civici, avviene regolarmente per pubblici proclami. Non impugnato dinanzi al Commissario quell’atto di verifica demaniale, poteva darsi per acquisita al processo la demanialità civica del bene.
Per il principio di diritto enunciato dalla Cassazione, se la demanialità civica di un fondo si presume una volta dimostrata la sua appartenenza a un antico demanio universale, è l’esistenza di questo che non può essere accertata per presunzione (oltretutto da fatti odierni, come la mancata reazione giuridica a una verifica demaniale fatta ai sensi della l. 1766 del 1927) ma necessita di essere dimostrata in concreto attraverso un’analisi storico-giuridica.