Con il demanio non si scherza.
Non perché sia proibito: una legge crea quel tipo di proprietà pubblica che definiamo demaniale, e una legge può distruggerlo, mutando la destinazione di quei beni. Il punto è che la legge che pretende di distruggere il demanio deve avere la stessa perfezione tecnica di quella che lo ha costituito. Con il demanio non si scherza perché è una proprietà, e la proprietà non è un diritto qualsiasi.
Questa premessa è necessaria per comprendere l’ennesimo tentativo di “sdemanializzazione” delle spiagge, consumatosi negli ultimi 15 giorni e finito definitivamente ieri, visto che il tema non compare nel maxiemendamento alla legge di stabilità su cui il governo porrà la questione di fiducia.
Vale la pena però ripercorrere le tappe della vicenda, che mostra tutta l’inadeguatezza tecnica di simili provvedimenti e l’incompetenza di chi li propone, prima della loro strutturale opposizione alle ragioni della tutela dell’ambiente e della concorrenza, valori principali del nostro ordinamento.
Il tentativo di “dismissione delle spiagge” poggiava su tre emendamenti alla Legge di Stabilità, tutti aventi come prima firmataria la Sen. Granaiola, del PD. Con il primo (n. 3.0.10 del 13 novembre 2013) veniva mutata la destinazione delle aree “ricomprese tra la dividente demaniale e la linea di costa” che fossero “stabilmente destinate ad attività di servizi con finalità turistico-ricreativa”. L’ulteriore requisito per la sdemanializzazione era che tali superfici fossero “occupate da strutture ed attrezzature anche amovibili asservite alle medesime attività”. Queste sarebbero state individuate con atto “ricognitivo-dirigenziale” (quindi privo di apparente discrezionalità amministrativa) dalle Agenzie del demanio e di conseguenza “riconosciute non più appartenenti al demanio marittimo” con decreto interministeriale del Ministro dei trasporti e del Ministro delle finanze.
Per tali aree la norma disponeva che l’ occupazione a favore del concessionario demaniale attuale sarebbe proseguita fino allo spirare del termine di cui all’articolo 34-duodecies, legge 17 dicembre 2012, n. 221, nelle forme di un “contratto di locazione” oltretutto stipulato ai sensi della legge sull’equo canone (legge 27 luglio 1978 n. 392).
I redattori non hanno spiegato perché un bene oggetto di concessione dovesse essere contemporaneamente oggetto di contratto di diritto privato, cosa ovviamente contraddittoria. A essere malevoli vi si può scorgere il tentativo di abbassare ulteriormente il canone per il concessionario, stante il riferimento, del tutto anacronistico e improprio (si sarebbe trattato di locazione commerciale, libera da anni) all’equo canone, ma il vero è che, nell’ottica dei proponenti, tutto questo non aveva che una minima importanza.
Il fulcro della norma era di stabilire che, una volta occupate da strutture a destinazione turistica, le aree di spiaggia in questione “hanno ormai perso l’originale caratteristica” (non specificata, ma si immagina quella demaniale) “stante le ragioni di oggettiva trasformazione” cui sono evidentemente andate incontro. Per questo, e per la necessità di “contribuire efficacemente ad un risanamento dei conti pubblici”, le stesse venivano fatte oggetto di un “diritto di opzione all’acquisto” da esercitarsi entro 180 giorni dall’emanazione del decreto interministeriale con cui sarebbe stato fissato il loro prezzo, da emanarsi entro 120 giorni dalla data in vigore della legge.
Qui è forse la maggiore perla dell’emendamento: esso prevedeva che il prezzo di cessione delle aree e dei manufatti di proprietà erariale fosse determinato “sulla base delle valutazioni correnti di mercato, prendendo a riferimento i prezzi effettive di compravendita di immobili e unità immobiliari aventi caratteristiche analoghe a quelle originarie al momento dell’occupazione”, evidentemente dimenticando che il bene demaniale è inalienabile per definizione e che quindi non può trovare termini di riferimento sul mercato delle libere compravendite. Detto in modo che anche i proponenti possano capire: se tutte le spiagge sono demaniali e nessuna è mai stata di conseguenza venduta, come si fa a trovare una compravendita, oltretutto recente, per fare da parametro di determinazione del prezzo?
L’emendamento, pur dichiarando di voler dismettere dal demanio solo le parti di spiaggia occupate da un qualsiasi manufatto (ripeto: anche rimovibile) mutava il regime anche del resto dell’arenile. Il quinto comma stabiliva infatti che esse sarebbero state oggetto di nuove assegnazioni (alla scadenza della proroga di cui al d.l. 18 ottobre 2012 n. 179) da affidarsi secondo sette principi, descritti dalle lettere da a) a g).
Il punto è che l’applicazione del primo e dell’ultimo criterio avrebbe reso sostanzialmente inapplicabili gli altri. Il primo (lettera a) dava infatti preferenza alla concessione per i “progetti che preservano l’unicità dell’impresa”; l’ultimo (g) stabiliva che il canone demaniale non poteva essere elemento di confronto tra più richieste “in quanto definito per legge”.
Il primo criterio avrebbe quindi portato sempre a concedere tutto l’arenile demaniale al proprietario della porzione alienata in proprietà per aver perso nel tempo “l’originale caratteristica” demaniale. Per il secondo nessun richiedente avrebbe potuto essere preferito a un altro in funzione del maggior gettito che la concessione avrebbe assicurato in quel caso allo Stato. Solo apparentemente logica, la norma sarebbe stata in realtà finalizzata al mantenimento dello status quo. Senza di essa, il richiedente di una maggiore area di spiaggia avrebbe dovuto essere preferito a chi ne avesse chiesto una di estensione minore, stante il maggior gettito assicurato all’Erario. Per l’effetto, il titolare di uno stabilimento balneare avrebbe potuto fare richiesta anche per la spiaggia di fronte allo stabilimento confinante, e essere preferito a questo per il maggior canone: la lettera g) era finalizzata a impedire tutto ciò, non si avesse mai a dire che in Italia possa esservi un barlume di concorrenza.
La proprietà privata di una parte dell’arenile, venduta dal Demanio a prezzi di realizzo, si sarebbe portata con sé il vincolo esclusivo alla parte restante, concessa a canoni non rivalutati. Sarebbe questo il vantaggio per l’Erario?